Venezuela. Si scrive Maria Corina Machado, si legge MAGA

𝐐𝐮𝐚𝐧𝐝𝐨 𝐢𝐥 𝐍𝐨𝐛𝐞𝐥 𝐩𝐞𝐫 𝐥𝐚 𝐩𝐚𝐜𝐞 𝐧𝐚𝐬𝐜𝐨𝐧𝐝𝐞 𝐮𝐧 𝐚𝐭𝐭𝐨 𝐝𝐢 𝐠𝐮𝐞𝐫𝐫𝐚.

«Si vis pacem, para bellum», recitavano i romani. Purtroppo, però, di quella massima in latino l’unico impero ancora in piedi oggi, quello a stelle e strisce, sembra aver radicalmente ribaltato l’ordine e il significato. Nello stesso periodo in cui tanti si affannavano a sottolineare gli “sforzi” di Donald Trump per giungere ad accordi di pace sia sul fronte russo-ucraino che su quello mediorientale, lo stesso presidente Usa cuciva su misura l’abito che avrebbe incoronato (almeno per questo 2025) una sua accanita fan nel continente indiolatino: l’oppositrice venezuelana Maria Corina Machado.

La cinquantottenne leader di Vente Venezuela, sigla tramite la quale aderisce da oltre un decennio alla Piattaforma unitaria (Pu) delle opposizioni alla maggioranza chavista, ha impiegato anni a guadagnare le luci della ribalta. Sconfitta alle primarie del 2012 per le elezioni presidenziali in cui terminò terza con appena il 3,7% ha vissuto nell’ombra di Juan Guaidó quando la strategia per contrastare la presidenza di Maduro fu quella di un improbabile autoproclamazione alla massima carica istituzionale del Paese da parte di un leader dell’opposizione. Finalmente vincitrice delle primarie nel 2023 la Machado è stata inabilitata il 30 giugno dello stesso anno per un’accusa di frode fiscale che l’ha esclusa dalla corsa elettorale per quindici anni. Cresciuta e formatasi negli Stati Uniti ha avuto un ruolo in tutti i tentativi di sovvertire il governo socialista fin dagli albori del nuovo millennio. A partire dal brevissimo colpo di stato del 2002 provato dall’allora leader della Confindustria venezuelana Carmona Estagna nei confronti del neoeletto Hugo Chavez passando per le guarimbas del 2014 e del 2017 sostenute dagli allora leaders della Pu Leopoldo Lopez e Antonio Ledezma fino alla più che maldestra Operazione Gedeone sorta nel corso del primo mandato di Donald Trump alla Casa Bianca.

La partecipazione agli atti sovversivi, le dichiarazioni sempre poco concilianti e, anzi, di massima apertura ad un intervento armato statunitense e/o di forze internazionali sul suolo bolivariano farebbero già della Machado una persona molto lontana dai sentimenti di pace che dovrebbero albergare in un uomo o in una donna che ne impersonifichi l’idea stessa in tutto il globo terrestre. A questi bisogna aggiungere le sue recenti affermazioni riguardo il massacro operato dal governo israeliano nella striscia di Gaza. Gemellata attraverso la sua sigla partitica con il Likud di Benjamin Netanyahu la Machado sposa in pieno la deriva occidentalista di altre guide della destra liberista sudamericana, quali Jair Bolsonaro e Javier Milei, che considerano “Israele un alleato per la libertà nella difesa dei valori occidentali”.

Un cavallo di Troia posto davanti all’opinione pubblica dai principali mass-media internazionali che, in caso di regime change nella nazione principe del populismo latinoamericano, possa segnare una svolta determinante nel ripristino della supremazia nordamericana in quello che la dottrina Monroe definì il cortile di casa.

- 𝐋𝐮𝐜𝐚 𝐋𝐞𝐳𝐳𝐢