Vecchi di merda o dell'inquinamento senile

Vecchi di merda o dell'inquinamento senile

Certamente non saranno mai annoverati tra i libri da leggere e non entreranno in nessuna lista dei libri da ricordare e per essere onesti sono due libercoli brutti. Vorrebbero far ridere ma sono solo una rancorosa somma di luoghi comuni sugli anziani un po' triviali e neanche tanto originali (le code alla posta, il guidare a 20 all’ora sulla corsia di sorpasso, il passare il tempo osservando i lavori stradali e altre amenità del genere). Se "Vecchi di merda, la società segreta contro i giovani" e "Vecchi di merda 2", sei mesi dopo di Mattia Tomboli editi da Momo Edizioni, hanno un pregio è quello di fissare una luce sulla questione senile nella nostra società.

La questione è molto sentita soprattutto in Giappone (ma si affaccia anche da noi) che da un po' si interroga sui costi crescenti che la società attiva si deve sobbarcare per l’assistenza degli anziani.

Didascalico, da questo punto di vista, un manga di Inio Asano, Tempest, che parla di un Giappone del prossimo futuro. In questa società futuribile gli anziani, superata la soglia degli 85 anni, definiti “anziani terminali”, sono privati della “carta dei diritti umani” perdendo qualsiasi tipo di assistenza sanitaria, ogni diritto civile, compreso il diritto di voto e vengono trasferiti ai “distretti speciali anziani”. Dopo cinque anni questi soggetti dovranno superare “l’esame di vecchiaia”, un difficilissimo e umiliante esame di certificazione. Chi non lo supera verrà allontanato dai distretti speciali e sarà costretto a vagare per la città, spogliato anche degli abiti, conducendo gli ultimi anni di vita come un cane randagio. Alternativa a questa espulsione è il suicidio assistito, visto come atto di estrema generosità da parte dell’anziano nei confronti dei diritti dei più giovani che non dovranno più caricarsi del fardello della loro cura e dello stato che finalmente sarà sgravato dagli immani costi che l’assistenza agli anziani implica.

È in una società del genere che prende forma il reato di “inquinamento senile”, il perdurare in età avanzata che viene associato agli altri crimini ambientali.

A sottolineare che questo tema è molto dibattuto in Giappone, uscì nel 2023 un film “Plan 75” di Chie Hayakawa che descrive una società in cui tutti gli individui, al compimento dei 75 anni, sono invitati a sottoporsi a eutanasia.

In Occidente ed anche in Italia, nel filone distopico, già da tempo, sono apparsi qua e là racconti, romanzi e film che hanno affrontato il problema in tutta la sua cruda essenza.

Penso alla novella di Richard Matheson L’esame, che compare nell’antologia di fantascienza curata da Fruttero e Lucentini “Le meraviglie del possibile” in cui un anziano è alle prese con la preparazione ad un esame. Inutile dire che solo il superamento di quell’esame sancirà il suo diritto a continuare a vivere.

Negli anni Settanta, Umberto Simonetta scrisse un romanzo dal titolo I viaggiatori della sera, poi trasposto in un film dallo stesso titolo con la regia di Ugo Tognazzi, che lo interpretò insieme a Ornella Vanoni. Anche qui, in una società governata dall’efficientismo giovanile, gli adulti di più di 50 anni sono costretti a trasferirsi in dei resort che vengono osannati come un’eterna vacanza, ma che in realtà sono dei lager che segregano le persone anziane fino alla loro morte, decretata dalla vittoria in una tombola, i cui vincitori partono su una nave, per una crociera (ennesima beffa per i morituri) da cui non faranno ritorno.

Nel 2016 Lidia Ravera ha dato alle stampe un testo, Gli scaduti, in cui gli esiti sono esattamente come i precedenti, gli anziani oltre i 60 anni vengono deportati in strutture adibite alla loro segregazione. Il finale, in cui i coniugi separati si riuniscono e si danno alla fuga, non permette alcun esito positivo se non una breve ribellione che, si capisce, verrà soffocata.

Il problema, se vogliamo crudelmente, era stato già affrontato in società primitive, come testimoniato, sempre in letteratura, dalla novella di Jack London La legge della vita, in cui il vecchio capo tribù indiano viene abbandonato alla sua sorte, contento di esserlo, visto che risultava d’intralcio in una società di nomadi.

Nell’antico Giappone feudale il problema era stato inserito all’interno di una consuetudine sociale, come descritto nel breve romanzo Le ballate di Narayama di Shichiro Fukazawa, in cui la vecchia madre, accompagnata dal figlio, si inoltra sul monte di Narayama per abbandonarsi alla morte e per evitare alla sua famiglia, sempre alle prese con la povertà, di finire in miseria.

Che il problema dell’invecchiamento della popolazione, unito al problema della denatalità, sia una questione primaria, è fuori di dubbio ma, si dirà che soluzioni come quelle indicate in letteratura sono delle finzioni, la realtà è diversa.

Ci sono però dei segnali inquietanti che attraversano la vita di tutti i giorni e che ci fanno dire che questa letteratura fantascientifica non è poi così distante da quello che molti pensano, anche se pochi apertamente lo dicono. E i due libri di Tombolini almeno, per farsi due rozze risate, lo dicono.

Beppe Grillo alcuni anni fa lanciò una delle sue provocazioni dichiarando che sarebbe giunto il momento di togliere il diritto di voto alle persone con più di 65 anni.

Nel 2021 fecero scalpore alcune esternazioni dell’accademico Yusuke Narita, professore di Economia all’Università di Yale che, interrogato sulla questione del rapido invecchiamento dei giapponesi, disse: “Mi sembra che l’unica soluzione sia abbastanza chiara: non si tratta forse di un suicidio di massa – o un seppuku di massa – degli anziani?”.

Anche alcuni politici si sono pronunciati pubblicamente in modo analogo a Narita. Dieci anni fa, l’allora Ministro dell’Economia Taro Aso invitò gli anziani a “sbrigarsi a morire” per non pesare sulle casse dello Stato.

Si fa avanti quella cultura dello scarto, in cui affiora l’idea che, finiti gli anni dell’efficienza, un corpo o una persona diventano inutili e un peso per le casse dello stato e per l’intera società. Il problema è di più vasta portata se si pensa alla cancel culture, che non si limita a distruggere statue e a cancellare la storia del passato. Quello che in profondità la cultura della cancellazione fa è di non considerare il passato come una radice a cui attingere ciò che di buono ci fu e cancellare, in nome di un eterno presente, il futuro, perché in quel futuro le nuove generazioni si troveranno vecchie e quindi vulnerabili a loro volta e non vogliono sentirselo dire.

La letteratura può leggere in anticipo sui tempi quello che sta per succedere nella società ma quando un romanzo o un racconto distopico non fa che sottolineare quello che già, almeno in forma provocatoria e puntuale, si sta affermando come tendenza allora le cose si mescolano e la distopia già apre il fianco alla realtà.

Il merito involontario di Tombolini è quello di avercelo ricordato.

— 𝗠𝗮𝗿𝗶𝗼 𝗚𝗿𝗼𝘀𝘀𝗶