Russia e Ucraina. C'è corruzione e corruzione

Russia e Ucraina. C'è corruzione e corruzione

𝐋𝐞 𝗱𝗶𝗺𝗶𝘀𝘀𝗶𝗼𝗻𝗶 𝐝𝐢 𝐘𝐞𝐫𝐦𝐚𝐤: 𝗰𝗼𝘀𝗶̀ 𝘀𝗶 𝘃𝗲𝗱𝗲 𝗰𝗵𝗶 𝗴𝗶𝗼𝗰𝗮 𝐚𝐥𝐥’𝗲𝘂𝗿𝗼𝗽𝗲𝐚

Le dimissioni del braccio destro 𝗱𝗶 Zelensky sono esattamente il punto d’incontro tra guerra e stato di diritto. In altre parole, è il test di realtà su cosa significhi dire che l’Ucraina vuole entrare nello spazio giuridico europeo. Il capo di gabinetto del presidente, uomo più potente del Paese dopo Zelensky, lascia l’incarico dopo una perquisizione degli organi anticorruzione, nel pieno di una guerra esistenziale. Non c’è ancora un capo d’imputazione, ma c’è un principio: nessuno è troppo vicino al presidente per non essere toccato da un mandato di perquisizione.

Primo punto: le istituzioni anticorruzione ucraine non nascono per caso. NABU, procura speciale anticorruzione e Alta Corte anticorruzione sono figlie dirette delle condizionalità europee. Sono la “porta d’accesso” obbligata a fondi, armi, ricostruzione. L’operazione che arriva fino all’abitazione di Yermak non è un incidente: è il segnale che quel sistema, con tutti i suoi limiti, osa entrare nel perimetro del potere vero, quello che firma i contratti militari ed energetici.

Secondo punto: la guerra non sospende le garanzie, le mette alla prova. In molti ordinamenti la ragion di Stato avrebbe imposto di chiudere il cerchio, mettere in frigo qualsiasi accertamento sui vertici e spiegare tutto con “siamo al fronte”. A Kyiv sta accadendo il contrario: gli investigatori lavorano, le perquisizioni si fanno, la riorganizzazione dello staff presidenziale viene annunciata in pubblico. È esattamente il tipo di stress test che interessa a Bruxelles: non assenza di corruzione (irrealistica), ma capacità delle istituzioni di trattarla come reato anche sotto le sirene antiaeree.

Terzo punto: la Russia come contro-modello. A Mosca la corruzione non è un incidente ma una modalità di governo. E non è vero che la Russia “non punisce mai” la corruzione: sotto Putin ci sono stati ministri, governatori, generali finiti in carcere. Il caso simbolico è Alexei Ulyukaev, ministro dell’Economia di area liberale, contrario alla svendita pilotata di Bashneft a Rosneft. Ulyukaev chiedeva una privatizzazione vera, aperta a investitori privati, e criticava l’idea che una società già controllata dallo Stato potesse comprare un altro asset pubblico aggirando lo spirito della legge sulle privatizzazioni. Dall’altra parte c’erano Putin e Igor Sechin, decisi a usare Rosneft come braccio economico del Cremlino: più potere alla compagnia di Stato, meno peso ai “liberali” del governo. L’arresto di Ulyukaev per una mazzetta legata proprio a quell’operazione – in un processo pieno di zone d’ombra – è stato letto da molti non come giro di vite neutrale sulla corruzione, ma come regolamento di conti interno. È lo stesso principio che vediamo applicato, dall’altro lato, ad Alexei Navalny, principale oppositore interno di Putin e volto dell’anticorruzione russa: chi la corruzione la pratica ma è in rotta con gli interessi del vertice può essere sacrificato in nome dell’“ordine”; chi la corruzione la denuncia, come Navalny con il “palazzo di Putin”, viene trasformato da oppositore politico in nemico da neutralizzare, fino alla prigione e alla morte. In entrambi i casi il messaggio è identico: l’anticorruzione non è uno standard, è un’arma nelle mani del potere.

Qui sta la differenza politica da marcare senza infingimenti: Ucraina e Russia hanno entrambe un problema serio di corruzione, ma lo gestiscono in modo opposto. A Kyiv gli organi indipendenti possono bussare alla porta del capo di gabinetto e trasformare il caso in fatto pubblico, tema parlamentare, dossier per le capitali europee. A Mosca chi prova a documentare gli arricchimenti del potere viene qualificato come “estremista”, messo a tacere o espulso dallo spazio pubblico, mentre le grandi campagne anticorruzione servono soprattutto a regolare i conti dentro la piramide del potere.

La differenza non è nella virtù dei singoli, è nell’architettura istituzionale. L’Ucraina è un Paese ancora attraversato dalla corruzione, che però accetta di sottoporsi a standard europei di giustizia e trasparenza, anche mentre difende il proprio territorio. La Russia è un sistema in cui il diritto penale mostra rigore massimo verso la dissidenza e un rigore selettivo verso la corruzione di vertice: si punisce quando conviene al potere, non quando lo impone lo stato di diritto.

  • 𝐒𝐞𝐯𝐞𝐫𝐢𝐧 𝐀𝐳𝐢𝐦𝐮𝐭