Paradossi spaziotemporali - di Massimo Collaci

Paradossi spaziotemporali - di Massimo Collaci

Scheda libro
Titolo: Paradossi spaziotemporali
Autore: Massimo Collaci
Editore: Edizioni Solfanelli
Anno: 2025

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Questo volume invita a un viaggio nel tempo: non in avanti o all’indietro, ma di lato, verso un’idea antica e seducente secondo cui il tempo non sarebbe una grandezza fisica, bensì un modo di contare angoli. Un giorno è un giro della Terra, un mese è un ciclo Terra–Luna; la “quarta dimensione”, sostiene l’autore, non dovrebbe essere temporale, perché il tempo non esiste come entità del mondo: esiste il nostro cogito, che ordina i giri e li chiama “ore”. Di qui una critica alla relatività di Einstein, una proposta non convenzionale sulla dinamica Terra–Luna, un ponte ardito verso Roma antica e, nel finale, una costellazione di tesi controcorrente: dall’Ascensione spostata di quarant’anni, al sospetto che non sia stato Nerone a incendiare Roma, fino al giudizio che la meccanica quantistica serva a “imbrogliare le carte” in favore dell’energia nucleare. È un affresco vivace; per giudicarlo con obiettività conviene separare con cura dati, letture e congetture.

Parto dai fatti, perché gli orologi hanno poca pazienza per le metafore. Dal 1967 il secondo non lo prendiamo più dal cielo, ma da orologi atomici al cesio: in pratica, un secondo corrisponde a circa 9,19 miliardi di oscillazioni dell’atomo. Questo passaggio – dalle stelle al laboratorio – non è cosmetico: ha reso comparabili orologi a migliaia di chilometri di distanza e ha trasformato il tempo in una grandezza misurata con precisione micidiale.

Già con la relatività — ben prima degli orologi al cesio — si è capito che il ritmo degli orologi dipende dal moto e dalla gravità. Gli orologi atomici portati in volo attorno al mondo hanno misurato differenze di tempo compatibili con la relatività ristretta e generale; due orologi ottici, distanziati in altezza di pochi decimetri, non battono più all’unisono: il diverso potenziale gravitazionale ne altera il ritmo.

I satelliti GPS applicano correzioni relativistiche ogni giorno: senza queste correzioni, gli orologi a bordo accumulerebbero decine di microsecondi di anticipo al giorno rispetto a quelli a terra e, nel giro di poche ore, la posizione sulla mappa slitterebbe di chilometri. Sono chiodi piantati nel banco di lavoro: se li togli, il banco crolla.

Questi fatti dicono che il tempo non è soltanto un modo di contare giri; è una grandezza locale che misura la lunghezza temporale delle traiettorie nello spaziotempo. E qui sta il cuore del dissenso con l’autore. Lo spaziotempo di Minkowski–Einstein non è un orpello filosofico: è la geometria minima che rende coerenti relatività della simultaneità, dilatazione dei tempi, contrazione delle lunghezze e dinamica gravitazionale. Si può discutere se il “presente” esista come taglio privilegiato dell’universo (dibattito legittimo); ma negare che la quarta coordinata sia temporale significa rinunciare al telaio che tiene insieme misure indipendenti e tecnologie operative.

Sul sistema Terra–Luna, vale una puntualizzazione di officina. Vediamo la stessa faccia della Luna perché la Luna ruota su se stessa con lo stesso periodo con cui orbita attorno alla Terra: si chiama rotazione sincrona. Le forze mareali della Terra sollevano due lievi rigonfiamenti sulla Luna; l’attrito interno dissipa energia e, nel tempo, ne frena la rotazione finché il periodo di rotazione coincide con quello orbitale. Il processo, a oggi, è ininterrotto: il sistema perde energia come calore e la Luna si allontana di circa 3–4 centimetri l’anno. Terra Luna non orbitano l’una attorno all’altra come due pianeti gemelli; orbitano attorno al loro baricentro comune, che nel nostro caso cade dentro la Terra, a circa 4.600 km dal suo (della Terra) centro. Dire, come fa il libro, che “la Terra gira attorno alla Luna” è una metafora che, presa alla lettera, confonde baricentro e ruoli dinamici. Capita: il sistema è più ingegnoso di quanto sembri a occhio nudo, e un’immagine suggestiva può travolgere il dettaglio che fa la differenza.

Veniamo alla meccanica quantistica, territorio fragile dove le parole scivolano più dei numeri. Fatto: nella formulazione standard (equazione di Schrödinger) il tempo entra come parametro esterno, non come osservabile da un operatore universale; per questo la relazione energia–tempo non è il gemello perfetto della relazione posizione–momento. Nel mondo quantistico “energia vs. tempo” non è un’unica formula scolpita nella pietra: cambia con il contesto sperimentale.

E' lecito distinguere tra la propagazione della luce e l’oscillazione dei campi lungo il suo percorso; ma un fotone non segue una traiettoria sinusoidale: la sinusoide riguarda il campo elettromagnetico, non il cammino del quanto.

Per chiarezza testuale: l’autore scrive proprio che al fotone attribuisce “due movimenti”. Nella Prima parte si legge: «Anche la luce arriva attraverso le onde… il fotone… sembra avere due movimenti: uno “circolatorio” (come un elettrone) e uno “sinusoidale” (come un’onda).» Un filo d’ironia è lecito: elettroni e fotoni non leggono le nostre metafore; obbediscono a equazioni che continuiamo a verificare ogni giorno in laboratorio.

Il capitolo romanistico è la cerniera concettuale del libro. I collegia romani sono associazioni riconosciute in una società schiavistica; hanno funzioni religiose, civiche e talvolta professionali. Nel lungo periodo, il filo del mutualismo riemerge in forme ottocentesche – casse, leghe, cooperative – e prepara il terreno a un sindacalismo moderno. Chiamare “sindacato” i collegia è un anacronismo; manca il contesto capitalistico del lavoro salariato, il conflitto industriale codificato, il diritto di sciopero. Ma l’idea che il tempo fisico si traduca in tempo sociale – calendari, feste, turni, scadenze – è feconda e regge: mostra come i ritmi del cielo si trasformino in ritmi del lavoro e del diritto. Qui l’autore tocca un nervo vero.

Le pagine storiche più controcorrente – l’ipotesi che non sia stato Nerone a incendiare Roma ma una trama legata a Vespasiano, l’Ascensione datata a quarant’anni, la rassegna su via Panisperna – entrano invece nel dominio delle congetture. Una congettura è legittima se è presentata come tale e se mostra un cammino probatorio. Sul caso Nerone, la storiografia è variegata e in parte revisionata; elevare una pista a verità richiede fonti robuste e un confronto serrato con quelle contrarie. Sull’Ascensione, il discorso è teologico‑storico e pretende filologia di livello: spostare una data così simbolica senza un apparato granitico rischia di trasformare la tesi in aforisma. Via Panisperna, infine, è un capitolo luminoso della fisica italiana, che merita di essere ricordato per ciò che è; usarlo come clava contro la meccanica quantistica attuale dice più della nostra impazienza che dei risultati di laboratorio.

Tiro le somme con una tabella mentale, senza disegnarla. Regge l’intuizione che il tempo sociale traduca il tempo fisico; il richiamo al mutualismo come cerniera plausibile tra collegia e sindacati; l’invito a non cedere agli slogan quando si parla di scienza. Non regge il rifiuto dello spaziotempo e dell’asse temporale; la rilettura della dinamica Terra–Luna; l’uso disinvolto di immagini quantistiche; alcune scorciatoie storiografiche che chiedono più archivi e meno pathos. Ma non è una sconfitta: è un’occasione. I libri che sbagliano bene ci costringono a mettere in ordine strumenti e fonti, e ricordano che la discussione pubblica migliora quando distinguiamo ciò che sappiamo da ciò che pensiamo e da ciò che immaginiamo.

La chiosa è semplice come un pendolo. Il tempo che la fisica misura e il tempo che le società organizzano non sono nemici; sono utensili diversi sullo stesso banco di lavoro. Il primo ci dice come scorre il mondo, il secondo ci dice come scandiamo le nostre vite. Tolta la retorica, resta il mestiere: capire dove una tesi illumina e dove fa ombra. L’ironia, qui, non serve a ferire ma a sgonfiare l’enfasi: un sorriso aiuta a vedere meglio.

— 𝐐𝐮𝐢𝐧𝐭𝐨 𝐕𝐚𝐫𝐫𝐨𝐧𝐞