L'asse USA-Russia contro l'Europa è già qui
𝐃𝐨𝐜𝐮𝐦𝐞𝐧𝐭𝐢, 𝐝𝐞𝐧𝐚𝐫𝐨 𝐞 𝐯𝐮𝐨𝐭𝐢 𝐝𝐢 𝐭𝐮𝐭𝐞𝐥𝐚: 𝐝𝐨𝐯𝐞 𝐥’𝐔𝐞 𝐬𝐢 𝐥𝐚𝐬𝐜𝐢𝐚 𝐟𝐞𝐫𝐢𝐫𝐞
Interessante inchiesta di Milena Gabanelli e Claudio Gatti sul Corriere della Sera di oggi, “Asse occulto Usa-Russia: qual è il piano per smantellare la Ue?”, pubblicata nella Dataroom.
L’articolo fa una cosa che, su queste pagine, abbiamo sostenuto da tempo: affianca alla guerra ibrida dichiarata di Mosca l’infrastruttura politico-culturale del trumpismo americano, con al centro la Heritage Foundation e il suo Project 2025. Nei documenti Heritage dall’inizio anni Duemila l’Unione Europea passa progressivamente da partner difficile a problema strategico: il fallimento della Costituzione europea viene salutato con favore, l’idea di un’Europa “politica” è bollata come minaccia, fino alla formula esplicita secondo cui gli Stati Uniti non dovrebbero sottrarsi a un ruolo nella “scomparsa” del progetto europeo. L’inchiesta ricostruisce poi la rete di interlocutori europei: Orbán e l’ecosistema del Mathias Corvinus Collegium, i giuristi ultra-conservatori di Ordo Iuris, il World Congress of Families, i rapporti con Farage, Le Pen, Abascal. In mezzo scorrono soldi: oltre cento milioni di dollari in pochi anni, investiti in think tank, fondazioni, campagne che spingono un’agenda sistematicamente anti-Ue.
Il pregio maggiore è la parte archivistica: nomi, date, documenti, flussi finanziari, tutti rintracciabili. Non c’è il “piano segreto nel caveau”, c’è un asse che si può seguire su materiali pubblici: da un lato il Cremlino, dall’altro il mondo MAGA, in mezzo un reticolo di fondazioni, media, conferenze, campagne coordinate intorno a pochi messaggi chiave. Che lo si chiami “convergenza strategica” o “asse”, la sostanza non cambia: da anni è in corso un lavoro sistematico per indebolire l’Unione come soggetto politico, non solo come mercato. Il titolo del Corriere, in questo senso, non è un eccesso: è la sintesi giornalistica di una dinamica che i documenti confermano.
Dove il pezzo lascia spazio – ed è qui che conviene innestare il discorso – è sul versante europeo. L’inchiesta illumina con cura ciò che fanno gli altri; resta più sfocata su ciò che non fa l’Unione. Il rischio non è esagerare la tesi dell’asse, ma fermarsi a metà: descrivere l’attacco senza chiedersi abbastanza perché il bersaglio è così permeabile e quali anticorpi giuridici e politici potrebbe attivare, da subito.
A guardare i dati accumulati dal Corriere non serve immaginare una “centrale operativa” unica tra Mosca e Washington trumpiana. Ma è chiaro che esiste un disegno coerente. La Russia putiniana ha interesse a un’Europa frammentata, ridotta a somma di capitali nazionali con cui trattare una per una: così si spezzano le sanzioni, si recuperano sbocchi energetici, si alimentano veti incrociati su Ucraina, Nato, allargamento. Il blocco MAGA e l’ecosistema Heritage vedono in Bruxelles il concorrente regolatorio più potente del pianeta: standard ambientali, regole su concorrenza e big tech, tassazione minima globale, politiche climatiche e sociali sono barriere alla promessa di “mani libere” che il trumpismo vende al proprio elettorato e ai propri donatori. I partiti sovranisti europei, infine, hanno interesse a ridurre la Ue a un grande mercato senza vincoli valoriali, giudiziari o fiscali: soldi sì, Corte di giustizia e Commissione il meno possibile.
Gli strumenti che emergono dall’inchiesta sono coerenti con questa architettura. Denaro che affluisce verso fondazioni, centri studi, media e partiti euro-scettici; produzione seriale di narrazioni in cui Bruxelles è il cuore di un’élite “globalista”, “woke”, “anti-famiglia”; campagne contro sanzioni, contro l’appoggio a Kiev, contro il Green Deal, impacchettate come difesa del “popolo” contro le élite. Sul versante russo, il gas è stato per anni la leva preferita per creare dipendenze asimmetriche; sul versante americano ultraconservatore, la leva è soprattutto culturale: diritto di famiglia, aborto, identità di genere, “ideologia green”, diritti Lgbt diventano il cavallo di Troia per erodere il consenso all’Unione come spazio giuridico comune. Sopra tutto questo sta una guerra informativa continua: televisioni, social, canali pseudo-indipendenti che lavorano a logorare fiducia, legittimità, percezione di efficacia delle istituzioni europee.
Il punto, per chi guarda dall’Europa, non è stabilire se la parola “asse” sia troppo forte. Il punto è chiedersi perché l’edificio Ue sia così facilmente attaccabile. È qui che il materiale del Corriere va portato a conseguenze politiche. Primo strumento: la trasparenza. Non ha più senso che organizzazioni chiaramente inserite in reti globali – finanziate da governi terzi o da strutture ad essi legate – possano agire sui partiti e sui parlamenti europei rimanendo nell’ombra. Il registro delle lobby dovrebbe diventare davvero vincolante, esteso a think tank, fondazioni, enti religiosi e pseudo-accademici che svolgono, di fatto, attività di influenza politica. Chi riceve fondi da soggetti extra-Ue non va criminalizzato a priori, ma deve dichiararlo con obbligo di pubblicità: chi finanzia, su quali temi, con quali importi.
Secondo piano: lo stato di diritto come difesa interna, non solo come parola nei preamboli. Dove magistratura, media, garanzie costituzionali sono sotto pressione, le reti russo-americane trovano terreno più morbido. L’Unione ha già meccanismi di condizionalità sui fondi, procedure per violazione dei valori fondamentali, strumenti per intervenire quando pluralismo dei media e indipendenza dei giudici vengono compromessi. L’uso politico selettivo di questi strumenti li svuota; un uso rigoroso, anche scomodo, li trasformerebbe in barriera concreta all’ingresso di capitali e narrazioni che puntano a consolidare regimi “ibridi” dentro la Ue. Un asse esterno funziona meglio dove esistono già governi disponibili a fare da cerniera.
Terzo fronte: lo spazio informativo. I regolamenti su piattaforme e disinformazione esistono; la loro applicazione è debole. Non basta chiedere a X o a Meta di “fare di più”: servono verifiche, sanzioni, obblighi di trasparenza sugli algoritmi e sui canali di amplificazione pagata. In parallelo, occorre investire su media indipendenti e su un servizio pubblico sottratto alla lottizzazione nazionale. L’alfabetizzazione digitale non può restare slogan: significa insegnare a riconoscere una campagna di influenza, a leggere un fact-checking, a capire chi c’è dietro un canale “patriottico” nato ieri che parla con la stessa agenda del Cremlino o di un think tank del Midwest.
Poi c’è la questione delle dipendenze strategiche. Finché la Ue resta esposta sul piano energetico, tecnologico e militare, ogni tensione esterna può tradursi in ricatto. Ridurre la dipendenza da fonti fossili russe è stato un passo; costruire una base industriale di difesa europea coordinata ma autonoma dagli umori elettorali americani è il passo successivo. Una Unione che può sostenere Kiev senza temere il veto di un Congresso ostile, e che non vive ogni inverno con il fiato corto sul prezzo del gas, è meno vulnerabile sia al Cremlino sia a una futura Casa Bianca ostile.
Infine, il livello politico-civico. L’Unione non sarà mai impermeabile alla propaganda finché continuerà a parlare di sé quasi solo in termini tecnici: parametri, direttive, Pnrr. Se le uniche narrazioni forti restano quelle dei nemici – la Ue “dei burocrati”, “dei gay”, “degli immigrati” – o quelle dei tifosi – la Ue “bella e buona per definizione” – lo spazio per chi vuole mostrarla come un progetto contraddittorio ma emendabile rimane strettissimo. Una democrazia ibrida è il terreno ideale per la guerra ibrida; un asse esterno trova terreno fertile dove la cittadinanza non percepisce più la differenza tra conflitto politico e sabotaggio istituzionale.
In termini chiari: se la Ue riconosce che la convergenza russo-americana anti-europea è un fatto strutturale – e che chiamarla “asse” non è paranoia ma descrizione di una strategia coerente – e usa fino in fondo i suoi strumenti classici di difesa (trasparenza sui finanziamenti, stato di diritto, regolazione dello spazio informativo, riduzione delle dipendenze strategiche), allora la minaccia resterà seria ma gestibile. Se invece continuerà a trattarla come un fastidio esterno mentre tollera opacità interne, governi illiberali in casa propria e una fragilità programmata delle proprie politiche comuni, allora quell’asse non avrà nemmeno bisogno di “smantellare” l’Unione: basterà lasciarla consumare dall’interno, un trattato alla volta.
— 𝐒𝐞𝐯𝐞𝐫𝐢𝐧 𝐀𝐳𝐢𝐦𝐮𝐭