Il sé comse se - di Gianluca Corrado

Il sé comse se - di Gianluca Corrado

𝐈𝐧𝐜𝐨𝐧𝐭𝐫𝐨, 𝐫𝐢𝐜𝐨𝐫𝐝𝐨, 𝐝𝐞𝐬𝐢𝐝𝐞𝐫𝐢𝐨

Scheda libro
Titolo: Il sé come se. Incontro, ricordo, desiderio
Autore: Gianluca Corrado
Editore: Solfanelli
Anno: 2011
Pag.: 104
Prezzo: € 9,00
Acquisto: https://www.edizionisolfanelli.it/ilsecomese.htm

Che cosa intendiamo, in generale, per «incontro»? Se non è il semplice trovarsi nello stesso luogo a scambiarsi due parole, allora è il momento in cui qualcosa o qualcuno entra nel nostro vissuto e lascia una differenza riconoscibile tra il noi di prima e il noi di dopo quell’incontro. Quando ciò avviene, il tempo non si dispone più allo stesso modo (c’è, appunto, un prima e un dopo), l’attenzione si sposta, un tratto del nostro profilo cambia fuoco.

In questo libro Corrado guarda agli incontri con una lente fenomenologica, descrivendo come si danno nell’esperienza senza partire da teorie preventive. La scena è la Lebenswelt, il «mondo‑della‑vita». Il metodo è la sospensione delle tesi metafisiche (epoché) per osservare l’intenzionalità della coscienza, che è sempre coscienza‑di‑qualcosa. Chiamare «esistenziale» questa impostazione significa insistere sulle conseguenze pratiche: legami che nascono o si modificano, decisioni che diventano possibili, desideri che si riorientano.

Per spiegare gli esiti dell’incontro, Corrado richiama l’aporia platonico‑socratica del Menone e del Teeteto: come si riconosce ciò che prima non si sapeva neppure cercare? Ma ogni incontro reca in sé, sin dall’inizio, la possibilità di non avvenire: il non‑incontro non è un incidente esterno, è la forma potenziale dell’evento che resta sulla soglia e tuttavia orienta attenzione, scelta, desiderio. Per leggere questa eventualità e i suoi esiti, l’autore impiega strumenti psicoanalitici: il gioco fort/da di Freud come piccola grammatica di presenza e assenza; la «mancanza‑a‑essere» e la catena dei significanti di Lacan per capire perché il desiderio resti operativo anche senza compimento. Su tutto, una vigilanza wittgensteiniana sul dicibile: parlare del possibile senza accreditarlo come fatto. Ne risulta una teoria pratica dell’identità: l’io si costruisce soprattutto ai bordi dell’esperienza — nella vigilia che precede o nel digiuno che segue — più che nel trionfo del compimento.

Nel libro questa idea — che l’io si costruisce ai margini dell’incontro (vigilia e non-incontro) — è messa alla prova su due bordi. Primo bordo: il pre‑incontro che la memoria riporta alla luce (l’“avvistamento” precedente al vero incontro). Qui l’incontro mostra il suo potere retroattivo: il passato cambia significato alla luce del presente. Secondo bordo: il non‑incontro (la Passante). Qui l’incontro, proprio perché non accade, chiarisce la struttura del desiderio: non coincide con il compimento, ma con la conseguibilità di un movimento orientato. In entrambi i casi il linguaggio del come‑se serve a descrivere presenza e assenza senza confonderle: permette di parlare del possibile senza farlo passare per avvenuto e, insieme, di riconoscere che anche il mancato ha effetti reali sulla nostra forma.

L’incontro, dunque, non è un premio narrativo né un destino. È una procedura di realtà: quando c’è, ridisegna il profilo; quando manca, obbliga a un lavoro di manutenzione (memoria e sublimazione) che evita la mitologia del “tutto o niente”. La formazione del sé è nei margini dell’esperienza: prima che un incontro accada e quando un incontro non accade. Corrado chiama in causa memoria e desiderio, e usa l’espressione fenomenologica «come‑se» per indicare un regime dell’esperienza che permette di parlare dell’assenza senza scambiarla per presenza. Il volume è breve ma denso: una Premessa narrativa‑teorica introduce due casi esemplari e due capitoli sviluppano rispettivamente il ruolo del ricordo e quello del desiderio.

Il punto decisivo è che l’identità personale non si costruisce soltanto “dentro” gli incontri effettivi, ma anche nei bordi che li precedono o li mancano. La memoria rivela retroattivamente ciò che eravamo “prima” di un evento decisivo, mostrando che quel passato non era pieno ma «relativamente nullo» in rapporto a ciò che saremmo diventati. Il desiderio, a sua volta, organizza il presente intorno a possibilità che restano tali: l’incontro mancato non è un difetto da colmare, è un dato che educa lo sguardo e mantiene vivo il movimento. Il «come‑se» è lo strumento linguistico‑concettuale che consente di trattare questi bordi senza trasformarli né in favola né in dogma.

Nella premessa si fanno le due ipotesi. Nella prima scena, un soggetto ricorda, dopo molto tempo, di avere già incrociato l’altro prima del loro vero incontro. Quella memoria non aggiunge un dettaglio ornamentale: mette a fuoco che l’io “di allora” era privo di qualcosa che oggi riteniamo essenziale, perché solo l’evento successivo lo ha reso tale. Corrado definisce questo scarto «nullità relativa»: non un nulla assoluto, ma la misura di quanto un’identità dipenda da incontri futuri che la riprofilano. Nella seconda scena, la “Passante” non sarà mai incontrata. Non si tratta di idealizzarla: si tratta di prendere sul serio ciò che accade quando una possibilità si chiude. L’oggetto del desiderio non si fa presente, ma il modo in cui lo guardiamo trasforma comunque il nostro profilo. Queste due scene costruiscono l’asse del libro: retro‑illuminazione della memoria e presentificazione del mancato. Su questo bordo la memoria funziona da laboratorio: il «ricordo da nulla» mostra, con il piccolo modello del rocchetto fort/da, come l’io riorganizzi presenza e assenza senza romanzare il passato.

Sul lato del desiderio, Corrado oppone alla cultura del compimento la «conseguibilità»: con Leopardi come banco di prova, conta la direzione praticabile più dell’arrivo. A questo livello diventa utile anche il riferimento a Lacan. La «mancanza‑a‑essere» non è un vuoto sterile, è la condizione che tiene in moto il desiderio. Il linguaggio non consegna l’oggetto; lo rilancia. Quando l’incontro non accade, il desiderio può prendere due vie legittime. La prima è il ricordo, che raffredda l’emozione e conserva l’oggetto come punto di riferimento senza trasformarlo in idolo. La seconda è la sublimazione, che non è un trucco consolatorio ma una forma di trasfigurazione: sposta l’energia desiderante in un’opera, in un gesto, in un compito. In entrambe le vie, il mancato non è uno scarto da cancellare; è materiale di lavoro.

I riferimenti filosofici e letterari del libro non sono citazioni di prestigio. Servono a distinguere piani. Wittgenstein delimita il confine del dicibile: il libro si muove su quel bordo, evitando sia il silenzio devoto sia l’assertività eccessiva. Il «come‑se» è usato in senso operativo (in linea con Vaihinger). Husserl fornisce il telaio dell’epoché e dell’intenzionalità con cui trattare il possibile. Beckett — con L’ultimo nastro di Krapp — illustra con una scena semplice l’effetto di riascoltarsi: si capisce quanto l’io precedente non fosse ancora quello di oggi, senza per questo negarne la continuità. Freud e la nozione di fort/da danno una piccola meccanica della presenza e dell’assenza che torna utile per spiegare perché certi ricordi “tirano” e altri no. Lacan aiuta a non confondere desiderio con bisogno: il primo non si esaurisce nell’oggetto, il secondo sì.

Il libro evita psicologismo e metafisica del «come‑se» e offre un metodo per leggere la propria storia senza trasformarla in romanzo di formazione o in diario di frustrazioni. Insegna a guardare le due soglie che più facilmente trascuriamo: la vigilia (quando ancora non sappiamo che un incontro ci sta cambiando) e il digiuno (quando una possibilità non diventa evento). In entrambe le soglie si gioca una parte sostanziale del profilo personale. Non ci sono ricette, c’è un modo di tenere gli strumenti: chiamare le cose col loro nome, costruire il «come‑se» quando serve, rinunciare all’iconografia del compimento come unico criterio di valore.

Il sé come se mostra che l’identità non coincide solo con il “pieno” degli eventi, ma anche, a volte soprattutto, con la capacità di lavorare i vuoti che li rendono possibili. O che ne restano. Potrebbe interessare chiunque voglia capire come si diventa ciò che si è.

— 𝗠𝗶𝗿𝗼 𝗥𝗲𝗻𝘇𝗮𝗴𝗹𝗶𝗮