Ginevra. L'europa non accetta il "piano di resa" Russo-Americano e batte un colpo

Ginevra. L'europa non accetta il "piano di resa" Russo-Americano e batte un colpo

𝐎𝐫𝐚 𝐯𝐞𝐝𝐢𝐚𝐦𝐨 𝐜𝐡𝐢 𝐯𝐮𝐨𝐥𝐞 𝐥𝐚 𝐩𝐚𝐜𝐞 𝐞 𝐜𝐡𝐢 𝐧𝐨

La giornata di ieri a Ginevra è una correzione di rotta significativa. L’UE, che nel “Piano di Resa” appariva come destinataria passiva di un testo scritto altrove, oggi entra nella regia: fa togliere le clausole più pesanti sull’allargamento NATO, alza la soglia minima di sicurezza per l’Ucraina, inserisce un quasi-articolo 5 come deterrenza, ancora la ricostruzione agli asset russi, blocca l’ipotesi di un’amnistia generalizzata e ottiene un esplicito riconoscimento dell’idoneità di Kiev all’adesione all’Unione, con accesso preferenziale al mercato europeo. È troppo poco per parlare di “pace giusta”, è abbastanza per parlare di una vittoria europea in un contesto dove fino a ieri l’Europa non c’era proprio.

Rispetto all’articolo precedente, in cui definivamo il testo americano un “Piano di Resa” dettato dall’asse Washington–Mosca e scaricato su Kiev e sull’Unione, Ginevra segna quindi un cambio di scena: l’Europa si è finalmente seduta al tavolo e ha corretto in profondità i 28 punti, riequilibrando l’ago del compromesso verso margini più favorevoli all’Ucraina e, quindi, a sé stessa. Non è la fine dei rischi; ma è la prima prova concreta che l’UE può smettere di fare il notaio e cominciare a fare il co-autore di una possibile uscita dal conflitto.

Il punto di partenza resta lo stesso: un testo negoziale nato a Washington, in dialogo con Mosca. I diplomatici europei, riuniti a Ginevra, non si sono limitati a “prendere atto”, ma hanno imposto una riscrittura che tocca i nervi scoperti del piano: l’allargamento NATO, la dimensione delle forze ucraine, la natura delle garanzie di sicurezza, il destino degli asset russi, il capitolo giustizia. È qui che passa la sostanza della vittoria europea: non nel ribaltamento del tavolo, impossibile nelle condizioni date, ma nel passaggio da una logica di resa a una logica di pace armata in cui l’Ucraina non è più solo oggetto.

Il primo segnale concreto è la cancellazione del baratto “Russia non invade / NATO non si espande”: i riferimenti espliciti al blocco dell’allargamento dell’Alleanza saltano dal testo finale. La formulazione che resta è molto meno vincolante: si prende atto che oggi non c’è consenso per l’ingresso dell’Ucraina nella NATO, ma non si trasforma questa constatazione in un diritto di veto russo scolpito nel trattato. Per Bruxelles è una linea rossa difesa: l’architettura di sicurezza euro-atlantica resta decisione degli alleati, non oggetto di scambio in un accordo con Mosca. Il rischio che denunciavamo ieri – blindare in diritto il principio “la NATO si ferma dove vuole il Cremlino” – viene sventato per ora, pur restando sullo sfondo una realtà politica: l’ingresso di Kiev nell’Alleanza resta lontano e, se le condizioni strategiche cambiassero di nuovo, quella pressione potrebbe tornare.

Il secondo blocco di correzioni riguarda la capacità di difesa ucraina. Nella versione uscita da Ginevra, l’esercito viene sì limitato, ma a un livello compatibile con la sopravvivenza di uno Stato che resterà confinante con una potenza revisionista: 800 mila soldati, più la precisazione che il divieto di stazionamento permanente di truppe alleate vale solo in tempo di pace. Non è un dettaglio tecnico: significa che l’Ucraina non viene trasformata in un Paese smilitarizzato per definizione, ma in uno Stato che conserva un esercito significativo e apre la porta, in caso di nuova aggressione, a una presenza militare alleata molto più robusta di quella immaginata nelle prime bozze. Il rischio di un disarmo unilaterale è contenuto; resta, più avanti, il problema di costruire davvero una forza europea credibile e sostenibile dentro questa cornice, e di evitare che un domani si torni a chiedere “tagli” ulteriori in nome della stabilità.

Terzo elemento: le garanzie di sicurezza. Qui la mano europea si vede con chiarezza. Il nuovo testo introduce un meccanismo che ricalca, politicamente, l’articolo 5 della NATO: se la Russia dovesse attaccare di nuovo, scatta una “robusta risposta militare coordinata” e si ripristinano automaticamente tutte le sanzioni globali, revocando ogni beneficio ottenuto da Mosca con l’accordo. In altre parole, la Russia sa che un secondo attacco non solo costerebbe una guerra con l’Occidente, ma cancellerebbe in blocco i vantaggi ottenuti oggi. Ieri criticavamo garanzie vaghe e non automatiche; oggi, pur senza creare una mini-NATO formale, l’Europa è riuscita a tradurre nel testo la propria idea di deterrenza: legare in modo ferreo sicurezza militare e regime sanzionatorio. Il rischio è che, nel tempo, la voglia di “salvare l’accordo” induca qualcuno ad annacquare questa automaticità: per ora è scritto, ma non è blindato per sempre.

Il capitolo economico e della ricostruzione è un altro terreno in cui Ginevra segna un’inversione rispetto al “Piano di Resa” discusso ieri. Gli asset sovrani russi congelati saranno usati per la ricostruzione dell’Ucraina e resteranno bloccati finché non ci sarà compensazione per i danni. È una richiesta su cui l’UE insiste da mesi, e che ora entra nel corpo dell’accordo: non solo pacchetti finanziari e investimenti occidentali, ma un legame diretto tra distruzione causata dall’aggressione e obbligo di risarcimento. La previsione di una “reintegrazione graduale” della Russia nell’economia globale e del ritorno nel G8 resta un punto sensibile: il rischio che un domani l’aggressore venga pienamente ri-legittimato non è cancellato, ma è condizionato da due paletti politici – l’uso degli asset per la ricostruzione e la clausola che prevede il ripristino automatico delle sanzioni in caso di nuova violazione. È una normalizzazione reversibile, non un rientro gratuito nel club; può tornare a essere un problema se, tra qualche anno, prevarrà la tentazione di considerare quei paletti “negoziabili”.

Sul terreno della giustizia, dove ieri denunciavamo il pericolo di una grande amnistia trasversale, Ginevra introduce un altro correttivo europeo: niente amnistia generale per i crimini di guerra, ma impegni a favore delle vittime e attenzione specifica alla questione dei bambini deportati e dei prigionieri. Non siamo davanti a un “processo di Norimberga 2.0”, ma nemmeno a una lavata di spugna. Il rischio di vedere sacrificata la giustizia sull’altare della pace resta reale nella fase di implementazione – la tentazione di chiudere un occhio sulle responsabilità individuali sarà forte – ma il fatto che il principio “nessuna amnistia generalizzata” compaia nel testo è già un risultato politico per Kiev e per l’UE, che fin dall’inizio hanno legato la legittimità di qualsiasi accordo a un minimo di accountability. Se domani qualcuno proverà a riaprire il dossier amnistia, dovrà farlo contro un impegno già sottoscritto.

Restano, inevitabilmente, nodi irrisolti. Il più delicato è quello territoriale. L’Ucraina si impegna a non cercare di riprendere con la forza i territori oggi controllati dalla Russia, pur dichiarando di non volerne cedere altri. La lettura ottimistica è quella che l’Europa ha scelto di sposare: congelare per il momento la dimensione militare del contenzioso e spostare la battaglia sulle leve diplomatiche, economiche e giuridiche, sapendo che il confine definitivo resterà materia di negoziato. La lettura più dura vede in questa clausola un riconoscimento di fatto delle conquiste russe. Ginevra non elimina questa ambiguità, ma la riquadra: nessuna legalizzazione diretta delle annessioni, nessuna formula che dica “la Crimea è russa”, una finestra aperta a soluzioni future diverse dalla pura forza. Il rischio che, nel tempo, il “de facto” diventi anche “de jure” non è scomparso; è spostato in avanti e legato alla capacità politica europea di non trasformare il congelamento di oggi in rassegnazione domani.

Resta poi una variabile decisiva, che Ginevra non controlla: bisognerà vedere se Mosca accetterà davvero questa revisione dei 28 punti. Il Cremlino può tentare di riportare il testo verso l’impianto originario, riaprendo il dossier su allargamento NATO, limiti all’esercito ucraino, sanzioni e confini. Proprio per questo il risultato europeo è al tempo stesso una vittoria e un test: ha spostato l’asticella del compromesso, ma ora dovrà difenderla quando Russia e Stati Uniti proveranno, inevitabilmente, ad abbassarla di nuovo.

Resta pertanto valido l’avvertimento dell’articolo precedente: un testo, anche migliorato, vale quanto la volontà politica di applicarlo. Gli emendamenti di Ginevra hanno sventato per il momento i rischi più gravi del Piano di Resa; nulla garantisce che non riemergano, sotto altre forme, nella fase di implementazione o nelle trattative sulle mappe. È qui che si misurerà davvero la maturità strategica dell’Unione: se saprà usare questo successo parziale come base per un sostegno strutturale all’Ucraina – sul piano militare, economico e politico – o se tratterà Ginevra come il modo elegante per voltare pagina e archiviare la guerra. Nel primo caso avremo assistito alla nascita di un soggetto europeo capace di correggere le traiettorie di Washington e di resistere a quelle di Mosca; nel secondo, avremo solo aggiunto un capitolo ben scritto alla lunga storia dei compromessi che, col tempo, diventano capitolazioni.

— 𝐒𝐞𝐯𝐞𝐫𝐢𝐧 𝐀𝐳𝐢𝐦𝐮𝐭