Garlasco: Manuale d'istruzioni della morbosità
𝐈 𝐟𝐚𝐭𝐭𝐢 𝐧𝐨𝐧 𝐞𝐬𝐢𝐬𝐭𝐨𝐧𝐨, 𝐞𝐬𝐢𝐬𝐭𝐨𝐧𝐨 𝐬𝐨𝐥𝐨 𝐥𝐞 𝐬𝐮𝐠𝐠𝐞𝐬𝐭𝐢𝐨𝐧𝐢
30 ottobre 2025. Nuovo capitolo della telenovela Garlasco: indagano Giuseppe Sempio, padre di Andrea, il "colpevole" di riserva. Ipotesi dei pm di Brescia: denaro a un procuratore per archiviare il figlio. E giù titoli, grafiche, inni alla “svolta”, l’ennesima. È da mesi la stessa pantomima.
Non chiamatela curiosità: è bulimia. È il piacere di ficcare il naso nella carne degli altri, di rallentare sul luogo dell’incidente e fare lezione di morale al ferito. Il caso di Garlasco è il nostro luna park dell’orrore: lo zerbino diventa un oracolo, lo sguardo un referto, una smorfia un verdetto. È anche economia dell’attenzione: l’algoritmo premia ciò che sciocca, i media inseguono il click, e il pubblico smette di essere spettatore diventando coautore della pressione a “produrre” svolte.
Qui il problema non è solo etico; è cognitivo. Siamo cavie felici dei nostri bias e li scambiamo per intelligenza. Vi svelo alcuni dei vostri tic. Confirmation bias: cerchi solo ciò che conferma l’idea che ti sei fatto e butti via il resto. Euristica della disponibilità: ricordi l’immagine più scioccante e la prendi per vera. Ancoraggio: ti fissano una prima “verità” e da lì non ti muovi più. Effetto alone: una postura, un sorriso, un paio di occhiali, e già hai deciso il carattere, il movente, la colpa. Errore di attribuzione: trasformi ogni gesto in prova del “tipo di persona che è”, ignorando contesto, ansia, panico, shock. È così che si scambia il montaggio televisivo per prova regina.
Nietzsche vi starebbe davanti con una frase dura come uno schiaffo: «Non esistono fatti, ma solo interpretazioni». L’interpretazione richiede analisi fredda, conoscenza dei dati, obiettività di giudizio, onestà intellettuale. Interpretazioni, appunto: non suggestioni.
La morbosità non è stile. E una democrazia che si abitua a vivere senza presunzione d’innocenza diventa una piazza: la folla urla, la giustizia trema.
La morbosità non è un vizio privato: è un dispositivo sociale che deforma il campo pubblico. Trasforma il dolore in contenuto e spinge media e piattaforme a inseguire l’“effetto wow”, spostando l’agenda dalle cause alle scene. Così si alimentano panici morali, si innescano “availability cascade” (le dicerie ripetute diventano “verità”) e si crea una spirale del silenzio: chi è cauto tace, chi urla occupa lo spazio. Il risultato è doppio: sfiducia generalizzata (capitale sociale che si sbriciola) e politica reattiva, che governa a colpi di indignazione anziché di prove. La giustizia, intanto, diventa teatro: si scambia la punizione simbolica per sicurezza reale e si confonde il montaggio con i fatti. Morbosità vuol dire cittadini più manipolabili, istituzioni più fragili, comunità più radicalizzate. Il conto lo paghiamo tutti: meno verità, meno coesione, più rumore.
— 𝐀𝐫𝐢𝐬𝐭𝐞𝐚