Eterno ritorno
Il vertice del 17 ottobre 2025 tra Volodymyr Zelensky e Donald Trump a Washington e l’annunciato incontro Trump–Putin a Budapest nelle prossime settimane ridisegnano il ruolo USA: da sostegno automatico a appoggio condizionato e canale diretto con Mosca. In mezzo, il "no" alla richiesta del leader ucraino di missili Tomahawk. Per l’UE il rischio è passare da soggetto a spettatore. Uno spettatore al quale, per giunta, il terreno le scivola sotto i piedi.
A Washington, Zelensky ha chiesto continuità di aiuti e capacità a lungo raggio. Trump ha preso tempo, respingendo per ora i Tomahawk e rilanciando l’ipotesi di un cessate il fuoco “dove siamo ora”. Operativamente, per Kiev comporta questo: meno opzioni di strike stand‑off a lunga gittata, quindi minore profondità e frequenza degli attacchi su nodi logistici e basi oltre il fronte; maggiore dipendenza dai sistemi già disponibili e dalle finestre meteo/logistiche; un tempo operativo più lento nella preparazione di offensive e contro‑offensive. Per Washington il segnale è chiaro: ridurre gli automatismi militari e aumentare la leva negoziale. Questo spiega il tavolo di Budapest.
Budapest come sede del summit Trump–Putin “entro due settimane” — con il governo ungherese pronto a garantire l’ingresso del leader russo — apre il nodo giuridico CPI/Statuto di Roma: gli Stati parte sono tenuti alla cooperazione con la Corte (art. 86) e, su richiesta, all’arresto e consegna (art. 89). L’Ungheria, Stato membro UE e firmataria dello Statuto, ha però adottato letture restrittive sull’esecuzione dei mandati verso capi di Stato stranieri, richiamando margini di discrezionalità e profili di diritto interno. L’effetto politico è un recupero di legittimità diplomatica per Mosca (più che un riconoscimento giuridico); per Washington un test di realismo contrattuale; per l’UE un cortocircuito: un Paese membro ospita un tavolo potenzialmente decisivo sulla sicurezza europea fuori dal perimetro istituzionale dell’Unione.
La logica del deal rischia di scavalcare quella dei principi: meglio un accordo imperfetto che una guerra lunga. Sì, se l'UE si siede al tavolo della trattativa: la pace ha un valore che supera la corretta applicazione delle norme che mille volte, anche per cause meno nobili di questa, sono stati resi carta straccia. No, se la pace si definisce in un bilaterale esclusivo Washington–Mosca, che ridisegnano a loro uso e consumo il confine orientale d’Europa. Ancora una volta, l'abbraccio dei vecchi orsi dell'Est e dell'Ovest, sempre molto attenti a non farsi male fra loro, e molto astuti nel farne all'Europa che c'è, saranno riusciti nell'impresa di congelare sine die il destino del Vecchio Continente. Che poi, a guardare bene e in profondità, è il vero scopo o almeno il risultato aggregato, dell'aggressione russa all'Ucraina. Europa, se ci sei, batti un colpo. Adesso.
— 𝐒𝐞𝐯𝐞𝐫𝐢𝐧 𝐀𝐳𝐢𝐦𝐮𝐭