Céline di Bardèche - visione. lingua, delirio

Céline di Bardèche - visione. lingua, delirio

𝗣𝗲𝗿𝗰𝗵𝗲́ 𝗶𝗻 𝗖𝗲́𝗹𝗶𝗻𝗲 𝗹𝗮 𝗹𝗶𝗻𝗴𝘂𝗮 𝗻𝗼𝗻 𝘃𝗲𝘀𝘁𝗲: 𝗶𝗻𝗰𝗶𝗱𝗲. 𝗟’“𝗶𝗻𝘀𝗲𝗴𝗻𝗮𝗺𝗲𝗻𝘁𝗼” 𝗱𝗲𝗹 𝗩𝗼𝘆𝗮𝗴𝗲 𝗻𝗮𝘀𝗰𝗲 𝗱𝗮𝗹 𝗱𝗶𝘀𝗽𝗼𝘀𝗶𝘁𝗶𝘃𝗼 (𝗺𝗼𝗻𝘁𝗮𝗴𝗴𝗶𝗼/𝗽𝗿𝗼𝘀𝗼𝗱𝗶𝗮/𝗺𝗲𝘁𝗿𝗼𝗻𝗼𝗺𝗼). 𝗘 𝗕𝗮𝗴𝗮𝘁𝘁𝗲𝗹𝗹𝗲 𝗳𝗮𝗹𝗹𝗶𝘀𝗰𝗲 𝗽𝗲𝗿𝗰𝗵𝗲́ 𝗹’𝗶𝗻𝘃𝗲𝘁𝘁𝗶𝘃𝗮 𝗲̀ 𝘀𝗰𝗮𝗱𝗲𝗻𝘁𝗲.

Scheda libro
— Titolo: Céline 
— Autore: Maurice Bardèche 
— Editore: ITALIA Storica Edizioni, 
— Genova 2025 
— Prezzo: € 29,00 
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Ci sono libri critici che non pretendono di zittire il rumore del tempo, lo incanalano. Il Céline di Maurice Bardèche sta qui: non cerca “l’uomo vero” dietro la pagina, ma osserva come una voce piega il mondo, lo ricompone e ce lo riconsegna. La lezione, se lo si segue senza scorciatoie, è una disciplina dello sguardo: niente idolatria dell’autore, niente compiacimento del lettore; responsabilità nel misurare quando una lingua diventa arte.

Fin dall’impianto Bardèche chiarisce l’asse: ciò che chiama stile non coincide con la sola lingua. La lingua è un vestito sontuoso; ma il cuore dello stile è la visione, la “curvatura dell’immaginazione” che seleziona materie, personaggi, ambienti, e li trasforma attraverso il delirio: non l’ebbrezza clinica, ma una trasposizione che rende il rappresentato più vero del reale perché ne concentra l’energia emotiva. Persino quando dice che Céline “fa della morale” (Fiandre, “retrovie”), non arruola l’arte in un catechismo: registra l’esito etico di uno sguardo che denuda le ipocrisie.

Qui dissento: in Céline la lingua non è un mantello, è il coltello. Non si limita a mettere in rilievo la visione: la produce. Per vedere dove pesa la differenza, bastano tre snodi del Voyage. Nelle Fiandre la sequenza del capitano morente non “insegna” perché i fatti sono esemplari; agisce perché il ritmo — frasi brevi, tagli netti, scarti d’intonazione — trasforma l’agonia in grottesco fisico. Qui la dimensione morale non precede la narrazione: scaturisce dal montaggio che fa della morte una farsa e, per contraccolpo, accusa l’ingranaggio che la produce.

«“Maman ! Maman !” qu’il pleurnichait… — Tais-toi, que je lui dis. Maman ! tu l’embêtes.» ("Mamma! Mamma!" piagnucolava… — Zitto, gli dissi. Mamma! La scocci!)

Le brusche interiezioni e il comando secco rovesciano il patetico in grottesco: l’agonia si spezza in scatti, e il giudizio nasce dall’urto di registro, non da una morale dichiarata.

A Fort-Gono (Africa) la febbre non è un tema: è prosodia. La sintassi si gonfia e poi sfiata, la percezione diventa sinestesia: più che descrivere un delirio, il testo delira. Qui la trasposizione non è solo visiva: è somatica.

«Cette pluie tellement dense qu’on en avait la bouche fermée quand elle vous agressait comme par un bâillon tiède.» (Questa pioggia così densa che ci si ritrovava la bocca chiusa quando ti aggrediva come con un bavaglio tiepido.)

È una frase di apnea: la sintassi ti trattiene il fiato mentre il senso ti chiude la bocca. Il “bavaglio tiepido” sposta il delirio dal visivo al tattile: la pioggia non si vede, occlude. Così la febbre diventa ritmo di contrazione/riapertura e la lingua ne imita il respiro.

A Detroit (Ford) la catena entra nella prosa come metronomo: ripetizioni, martellamenti, parallelismi.

«…si tu crânes on te foutra à la porte en moins de deux et tu seras remplacé en moins de deux…» (“…se fai il gradasso ti butteranno fuori in un attimo e sarai rimpiazzato nello stesso attimo…”)

Qui la cadenza non è tema: è dispositivo. La meccanica entra nel periodo e lo fa battere come una pressa: l’alienazione non è enunciata, si sente.

Capitolo a parte meritano le osservazioni sul nodo dell’“insegnamento” che Bardèche attribuisce (o vorrebbe attribuire) a Céline. E scrive:

«All’inizio, quando si legge Viaggio al termine della notte, si è ghermiti dallo stile, alla fine ogni insegnamento ci viene dagli accadimenti.»

E insiste:

«…Céline… fa del suo romanzo un romanzo didattico…».

È una lettura che, a mio avviso, sbaglia bersaglio. Non credo che fra i propositi di Céline scrittore di romanzi, cioè artista, ci sia stata mai l'intenzione di insegnare altro che il bello. Quello che esprime non è un programma di apprendimento ma il risultato di un effetto di dispositivo, ovvero: una configurazione tecnica (montaggio, ritmo/prosodia, focalizzazione, lessico, punteggiatura) che orienta la percezione del lettore a un giudizio estetico, non etico. Così, nelle Fiandre, sarà possibile leggere l’urto dei registri trasformare l’agonia in accusa; a Fort Gono la febbre prosodica produrre compassione senza retorica; alla Ford il metronomo di ripetizioni e parallelismi generare l’evidenza dell’alienazione. Questa è estetica. L'etica, semmai, ce la metterà lui (il lettore) o il critico che si vorrà porre questo tipo di problema. Parlare di “romanzo didattico”, invece, scambia una dimostrazione ritmica per una dottrinale. Il libro dimostra sì, ma sensazioni tramite forma, non precetti tramite esempi.

Diverso è il discorso se ci spostiamo dai suoi romanzi (la vera arte di Céline) alle sue intenzioni pamphlettistiche. Il proposito, qui, non è il bello e l'intenzione è, con molta evidenza e questa sì, morale. E Céline, secondo Bardèche, cade su entrambe le linee. Sullo stile: «Bagatelle non è un pamphlet, è una percossa a sangue»; mette in scena «un Céline brusco, collerico, assoluto, violento, ingiusto, irresponsabile». È «un libro invecchiato»; «la sua violenza verbale era già un errore nel 1937, oscena e semplicistica; alla nostra epoca simile tono appare odioso». Non è «una dimostrazione», ma «una lingua di invettive»; «il monologo di un ubriacone» che parla «con voce avvinazzata». Sul piano morale: riconosce che i testi esprimono «una fissazione antisemita», che produrrà guasti in chi ne seguirà ciecamente il già non eccelso detto. In breve: severità letteraria (invettiva povera, generalizzazioni abusive, volgarità) + severità morale. Condivido.

In conclusione, il merito del libro di Bardèche è netto: sposta il fuoco dalla lingua-ornamento alla visione-stile, libera Céline dalle caricature (santino del “parlato” / pirotecnico della punteggiatura). Il rischio — dove non lo seguo — è sottovalutare quanto, in Voyage, la lingua costruisca la visione: è grazie a quel battito che la guerra diventa farsa sacrilega, la colonia febbre, la fabbrica ipnosi. Senza quel battito, la visione non cammina e l’arte si moralizza.

— 𝗠𝗶𝗿𝗼 𝗥𝗲𝗻𝘇𝗮𝗴𝗹𝗶𝗮